Cerca nel blog

lunedì 18 ottobre 2010

FARMACI ANTIDOLORIFICI SENZA EFFETTI COLLATERALI SUL SISTEMA NERVOSO CENTRALE

E’ stato pubblicato, sulla prestigiosa rivista Nature Neuroscience, lo studio “Anandamide suppresses pain initiation through a peripheral endocannabinoid mechanism”, frutto della collaborazione internazionale tra gruppi di ricerca dell’Istituto Italiano di Tecnologia, dell’Università della California Irvine, dell’Università della Georgia (USA) e delle Università di Napoli “Federico II” e di Urbino. Per l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) è stato coinvolto nello studio il Dipartimento Drug Discovery and Development (D3), diretto dal prof. Daniele Piomelli. 

Questo studio si basa sulla comprensione del ruolo dell’anandamide, una sostanza prodotta naturalmente dal corpo umano, che esercita un’importante azione analgesica nell’ambito delle malattie infiammatorie, quale ad esempio l’artrite, e del dolore neuropatico. L’anandamide è una sostanza che fa parte della classe degli endocannabinoidi, chiamati in questo modo in quanto il THC, il principio attivo della marijuana, o Cannabis, ne mima gli effetti. 
Gli endocannabinoidi regolano una varietà di funzioni fisiologiche, tra cui la fame e la risposta allo stress, ed alcune patologie, tra cui il dolore, la depressione, l’ansia e l’obesità. Precedentemente, si pensava che l’anandamide producesse il suo effetto analgesico esclusivamente attraverso la modulazione dell’attività delle cellule neurali presenti nel cervello e nel midollo spinale, quindi solo a livello del Sistema Nervoso Centrale. Il gruppo di studio ha dimostrato invece che, nel momento in cui avviene un danneggiamento dei tessuti, i livelli di anandamide aumentano nel sito danneggiato, dove l’anandamide, attraverso l’attivazione dei recettori per gli endocannabinoidi CB1, ha la funzione di limitare la trasmissione degli impulsi di dolore verso il midollo spinale ed il cervello. 
 È stato compiuto, inoltre, un ulteriore passo avanti: in seguito all’identificazione del meccanismo molecolare sotteso alla degradazione dell’anandamide, i ricercatori sono riusciti a bloccarne il processo esclusivamente a livello periferico. Questo ha permesso di mantenere i livelli di anandamide più alti e, conseguentemente, di conservare l’ effetto analgesico della sostanza, senza effetti sul cervello e sul midollo spinale. «La nostra intuizione – afferma Daniele Piomelli, a capo del Dipartimento D3 – è stata che l’anandamide avesse anche attività nel Sistema Nervoso Periferico e che, quindi, si potesse agire su di essa senza coinvolgere il cervello. Di fatto, questo apre la strada alla realizzazione di una classe di farmaci antidolorifici di concezione assolutamente innovativa, senza effetti collaterali centrali, come la sedazione o il rischio di dipendenza. Caratteristiche, queste, comuni di tutti gli altri farmaci analgesici oggi presenti sul mercato, come gli oppiacei, la gabapentina e la pregabalina. Inoltre, la scoperta della capacità del corpo umano di limitare la trasmissione degli impulsi di dolore al cervello direttamente dal sito specifico del danno apre nuove prospettive alla nostra comprensione dei meccanismi fisiologici che regolano il dolore». I ricercatori, dopo aver identificato il meccanismo molecolare di degradazione dell’anandamide ad opera dell’enzima FAAH (Fatty Acid Amide Hydrolase), hanno creato un inibitore di quest’ultimo che non potesse passare la barriera emato-encefalica e che, quindi, non inibisse la degradazione a livello del Sistema Nervoso Centrale, chiamato URB937. In seguito, utilizzando modelli animali è stato dimostrato che l’URB937 inibisce fortemente i segnali fisici della risposta al dolore, dimostrando l’effetto analgesico procurato dal mantenimento locale dei livelli aumentati di anandamide.


Endocannabinoid Mechanisms of Pain Modulation PDF 


Fabio Santacroce 2010